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I fantasmi di Portopalo, anticipazioni e trama, 20 e 21 febbraio 2017

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Puntuale come l’influenza, arriva anche quest’anno la fiction civile, sociale e impegnata di Beppe Fiorello… I fantasmi di Portopalo, lunedì 20 e martedì 21 febbraio 2017 in prima serata su Rai1. “Per anni ho inseguito questa storia, per anni mi sono posto l’obiettivo di far conoscere al pubblico questa storia sepolta in fondo al mare e dimenticata per troppo tempo dalle istituzioni”. Giuseppe Fiorello racconta così le emozioni che lo hanno spinto a fare sua questa avventurosa e drammatica storia “di mare, di uomini e di anime”. Una storia vera che lo vedrà protagonista in prima serata su Rai1 lunedì 20 e martedì 21 febbraio 2017. 


L’attore siciliano torna al pubblico del piccolo schermo con una nuova miniserie dal grande valore civile che riaccende i riflettori su uno dei più grandi naufragi della nostra storia recente avvenuto nel Mediterraneo: quello del giorno di Natale del 1996. Una tragedia che ha visto inabissare una carretta del mare stipata di migranti al largo di Portopalo. Centinaia tra donne, uomini, ragazzi e bambini morti nel tentativo di avverare il sogno di una vita migliore su quella terra di Sicilia che forse hanno potuto scorgere solo in lontananza. Una vicenda dai pesanti risvolti umani rimasta celata per molto tempo e riemersa solo grazie alla denuncia di uomini che con il loro coraggio hanno voluto restituire la dignità dovuta a tutte quelle vittime rimaste senza nome e senza tomba, se non il mare che li ha strappati alla vita e tenuti con sé.

I fantasmi di Portopalo è una produzione PICOMEDIA, in collaborazione con Rai Fiction e IBLAFILM, prodotta da Roberto Sessa per PICOMEDIA, per la regia di Alessandro Angelini. Liberamente tratta dall’omonimo libro di Giovanni Maria Bellu, la miniserie vede a fianco di Giuseppe Fiorello, Giuseppe Battiston, Roberta Caronia e Adriano Chiaramida.

In onda lunedì 20 e martedì 21 febbraio 2017, in prima serata su Rai 1. L’appassionante ed emozionante racconto di una vicenda realmente accaduta rimasta per troppo tempo sepolta in fondo al Mediterraneo in un film in due puntate, con soggetto scritto da Giuseppe Fiorello, Paolo Logli e Alessandro Pondi che firmano anche la sceneggiatura insieme a Salvatore Basile e Alessandro Angelini.


PRESENTAZIONE

Portopalo è un paesino di meno di 4000 abitanti che sorge sulla punta meridionale della Sicilia, a pochi chilometri da Capo Passero, il punto più a sud dell’Italia continentale. Il paese è stretto attorno al suo porto, che ospita una delle flotte di pescherecci più importanti della Sicilia. Nel mare più prossimo alle coste di Portopalo, alla metà degli anni novanta, è accaduta una tragedia enorme, uno dei più grandi naufragi della storia del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale, il primo di una lunga serie di disastri marittimi che ancora oggi interessano le nostre coste. In questo scenario prende vita la vicenda del film, liberamente ispirato a quei tragici giorni. Il giorno della vigilia di Natale 1996 il pescatore Saro Ferro salva un naufrago al rientro da una battuta di pesca nel mare in tempesta. È un adolescente dai tratti indiani che non ricorda nulla di sé, né come si chiama, né da dove arriva e neppure com’ è finito in acqua. Nei giorni successivi altri pescatori, e lo stesso Saro, pescano cadaveri in mare. È successo qualcosa di grosso nel Canale di Sicilia, qualcosa di cui ancora né i giornali né le Istituzioni sono al corrente. Ma chi dovrebbe metterli in allerta? L’avvio di qualsiasi indagine causerebbe la chiusura dello spazio di pesca per un tempo indeterminato, e le famiglie dei pescatori vivono solo di questo. Che fare, allora, di quei cadaveri? Quando inizia il racconto, la comunità di Portopalo è unita e solidale e sta vivendo un periodo molto florido. Ci sono i personaggi tipici di un paesino del sud: il notabile, Don Gaetano Salemi, patriarca di una famiglia che da generazioni occupa tutti i posti di potere, tanto che i suoi figli sono diventati uno sindaco e l’altro presidente del consorzio di pesca. C’è il parroco che incarna il versante un po’ chiuso e gretto della mentalità paesana, c’è infine un gruppo di pescatori ben amalgamato e compartecipe della dura legge del mare. Saranno loro ad allearsi e a condividere un ingombrante segreto per mantenere intatta la quiete di questo piccolo paese. Tra di loro c’è un pescatore in particolare, Saro Ferro, che subisce forza maggiore questa decisione e che sarà il motore di questa storia civica di coraggio e verità. Nel nostro racconto c’è anche il rapporto commovente tra Saro e il giovane naufrago che non possiede identità: non ricorda o non vuole ricordare, e i frammenti della sua memoria diventeranno appuntamenti di una straordinaria avventura di riappropriazione delle radici e di elaborazione del lutto. E poi c’è l’amicizia tra Saro, un semplice pescatore, e Giacomo Sanna, un giornalista affermato, un po’ stanco del suo lavoro ma pronto a ricredersi. L’altro grande protagonista di questa miniserie è il mare, con la sua leggenda, che cela nel fondo i fantasmi del titolo e diventa, nel suo significato archetipico, un’arena spettacolare per la ricerca a tratti visionaria e profondamente umana del pescatore e del giornalista.


PRIMA PUNTATA | TRAMA | LUNEDÌ 20 FEBBRAIO 2017

Tutto ha inizio la mattina del 24 dicembre 1996 con l’avvistamento di un naufrago in mezzo al mare, un adolescente dai tratti indiani che Saro Ferro salva al rientro di una battuta di pesca nel mare in tempesta. Il ragazzo non ricorda nulla di sé, non parla l’italiano e non vuole comunicare. Questo è l’annuncio della tragedia che sta per abbattersi su Portopalo, e che prende forma nei giorni successivi quando nella rete di uno dei pescatori, Antonio, si impiglia un cadavere. Il padrone della barca fa quello che deve fare e consegna il cadavere alla Capitaneria di Porto, col risultato che gli viene sequestrato il peschereccio come corpo del reato. Nei giorni successivi anche altri pescatori, tra cui Saro, trovano dei cadaveri nelle reti. La quantità di ripescaggi sono tali che stavolta il rischio è alto, la pesca dell’intera flotta potrebbe essere bloccata: sarebbe la fine per l’economia di Portopalo. All’unanimità i pescatori decidono di non rischiare, di rigettare i cadaveri in mare e di non farne parola con nessuno. Anche Saro si allinea con la maggioranza, anche se mastica amaro, si sente a disagio. Anche perché quel ragazzo senza nome che Saro ha ripescato e che ora vive come clandestino nelle campagne, dopo essere scappato dall’ospedale, in qualche modo dà un volto a quei poverini che sono morti in mare. Per Saro è difficile non pensare che quei corpi, che tra loro chiamano in codice “tonni”, sono in realtà delle persone umane che hanno avuto sentimenti, sogni e progetti. Per lui tacere significa soprattutto proteggere la sua famiglia, perché se non si pesca si affoga nei debiti. E lui ha tre figli: Gaetano, il piccolino, e due un po’ più grandi, Meri ed Emanuele. E anche una moglie, Lucia, che fa la professoressa alle medie e che sogna una vita tranquilla e senza troppi intoppi. Nel frattempo i media diffondono la notizia che alcuni profughi approdati in Grecia hanno parlato di un naufragio nel canale di Sicilia, che ha coinvolto quasi 300 persone. Un naufragio mai confermato né dalle autorità marittime né dalle istituzioni. Passano cinque anni, e la notizia non è mai trapelata. È rimasta un segreto dei pescatori, che non ne hanno mai più parlato, nemmeno tra loro. Ma per Saro è diverso. In quei cinque anni si è preso cura di quel ragazzo indiano che è stato ribattezzato Fortunato, e che lavora al molo. Fortunato continua a non ricordare nulla del suo passato, o almeno così dice, ha imparato ad esprimersi in italiano e a vivere con poco. Ma un giorno le reti della barca di Saro s’incagliano, tirando su un pezzo di albero di una nave e degli indumenti nei quali c’è una carta d’identità. Appena Fortunato lo vede è come se quel documento squarciasse un velo nella sua immobilità, lo ricollegasse ad un passato che gli fa paura. Saro fa di tutto per farlo parlare, ma il ragazzo si rifiuta, vuole essere lasciato in pace. Saro consegna tutto alla capitaneria di porto, probabilmente si tratta di resti del naufragio di cinque anni prima… ma capisce che di quella faccenda i militari non hanno memoria e lo sconsigliano di preoccuparsene. Forse perché è colpito dall’afflizione di Fortunato, forse perché ha l’occasione di lenire il senso di colpa che non l’ha lasciato in pace per cinque anni, Saro decide di andare avanti, costi quel che costi. In occasione del viaggio a Roma per accompagnare sua figlia Meri ad un provino, che la ragazza si è guadagnata vincendo un concorso di bellezza, Saro riesce ad entrare in contatto con un giornalista di Repubblica, Giacomo Sanna: c’è un relitto fantasma sul fondo del Canale di Sicilia a diciannove miglia dalle coste di Portopalo. Su quella nave sono morte quasi 300 persone. È certo di quel che dice ed è convinto di sapere dove si trova il relitto. Ma Saro non trova un’accoglienza entusiastica in Sanna: per lui il pescatore potrebbe essere un mitomane e prima di credergli vuole verificare personalmente tutta la storia. E solo quando, attraverso il suo domestico indiano, Sanna scopre che quel documento apparteneva ad un giovane tamil, capisce che potrebbe essere davvero legato alla nave fantasma sulla quale effettivamente viaggiavano parecchi tamil. Fortunato di quel viaggio comincia a ricordare piccoli e brevi frammenti incongruenti. E dentro di sé non sa neanche più se vuole ricordare. In fondo dopo cinque anni la sua vita è qui, ed anche se non è totalmente integrato nella comunità, ha un lavoro una casa e una rete di affetti con la famiglia di Saro. Ma è un dato di fatto che avere ripescato quel tesserino gli ha spalancato davanti il pozzo dei ricordi e dei sentimenti, e lentamente capisce che non può più negarsi al passato che sta riemergendo inesorabile. Cominciano a venire a galla nomi, facce, luoghi. Cose sconcertanti. Violenza, sangue, dolore. Intanto Sanna parte per Portopalo, dove prima di tutto si convince fino in fondo che Saro è in buonafede e poi, spacciandosi per un giornalista che si occupa di turismo, indaga sulla storia che gli ha raccontato Saro, scoprendo un mondo di reticenze. Quando Sanna viene minacciato da un losco individuo del posto, capisce che la storia è vera e decide di scrivere il suo pezzo, ma sceglie di omettere il nome del suo principale testimone, Saro. Per esperienza, il giornalista sa che sta raccontando una verità scomoda e che quelli che potrebbero pagare il prezzo maggiore sono Saro e la sua famiglia. Quando esce l’articolo, infatti, i portopalesi ci mettono un attimo a capire chi ha parlato, infrangendo il sottaciuto patto di silenzio. Improvvisamente la comunità cambia atteggiamento nei confronti di Saro e della sua famiglia. I Ferro vengono emarginati, e né i Salemi né il parroco si distinguono, mettendo il carico all’ostilità generale. Una notte, qualcuno molla al largo il peschereccio di Saro, che è la loro fonte di sostentamento e per il quale hanno sulle spalle un mutuo pesantissimo. Se affondasse sarebbe la fine, e Saro, aiutato solo da Fortunato, affronta la tempesta a bordo di un gommone nell’intenzione disperata di ritrovare la barca.


SECONDA PUNTATA | TRAMA | MARTEDÌ 21 FEBBRAIO 2017

Un giorno, mentre Saro torna a casa in vespa, viene aggredito da due motociclisti che lo speronano facendolo volare dalla scogliera. Il nostro pescatore si salva per miracolo. Se Saro pagasse solo di sua tasca, però, non ci penserebbe un attimo ad andare avanti. La sua esitazione subentra quando capisce che il prezzo lo sta pagando anche la sua famiglia. Emanuele, che ha la passione per la musica, viene cacciato dal parroco dalla sala parrocchiale nella quale suona assieme ai suoi amici. Meri, che sogna di fare l’attrice, si trova a fronteggiare l’insinuazione che suo padre si sia fatto pagare dal giornale in cambio di favori per la carriera della figlia. Lucia, che insegna in una scuola media, scopre che alcuni genitori avrebbero chiesto il suo allontanamento dall’istituto. Per la prima volta Saro vorrebbe veramente mollare, magari addirittura andarsene dal paese. Ma sua moglie si dimostra tenace: lei non ha alcuna intenzione di darla vinta ai compaesani, semmai sono gli altri a doversi vergognare, e non loro. Andranno avanti fino a che non avranno vinto quella battaglia. Il modo più diretto per spuntarla è quello di ritrovare il relitto della nave fantasma. Un recupero di quelle proporzioni è molto costoso e Sanna fatica a farsi autorizzare la spesa dal giornale. Nel frattempo la sua inchiesta lo porta a scoprire che c’è un altro testimone di quel naufragio, Shakoor, un superstite che vive nel centro Italia. Decide di andarlo a trovare e porta con sé Saro e Fortunato, e quando i due indiani si incontrano è un abbraccio toccante in cui Fortunato ha la certezza di avere conosciuto Shakoor proprio su quella nave. Anche Shakoor si ricorda di lui, ma con un soprannome, Baggio, che gli è stato dato per una maglietta della nazionale italiana che non si toglieva mai. Ma si ricorda anche del naufragio, delle grida di terrore dei suoi compagni. Dei morti. Il corso della memoria è ormai inarrestabile in Fortunato, che a poco a poco ricorda di essere scappato da quella nave prima del naufragio e di avere abbandonato il suo più caro amico, Anpalagan Ganeshu, che è proprio il ragazzo della carta d’identità. Finalmente ricorda di avergli lasciato la sua maglia di Baggio in segno d’affetto, prima di gettarsi in mare. E quando finalmente Sanna riesce a farsi finanziare un minisommergibile col quale recuperare il relitto, Giacomo e Saro si sentono a un passo da quella giustizia per cui si stanno battendo. Anche per Fortunato il ritrovamento del relitto potrebbe significare molto: sapere finalmente che cosa è successo ai suoi amici, scoprendo se si sono salvati come spera. Mettere pace nel suo cuore, tormentato dal senso di colpa per essere scappato lasciando Anpalagan in pericolo. E infine il minisommergibile riesce a catturare le immagini del relitto. Eccolo, è esattamente dove diceva Saro, ed è il natante affondato la vigilia di Natale del ‘96 portando con sé negli abissi 283 persone. Ed è la dimostrazione che tutto quel che ha sostenuto Saro e che Sanna ha scritto sul suo giornale è vero: molti di quei 283 corpi si erano impigliati nelle reti e i pescatori li avevano rigettati in mare, per paura di subire l’assurda punizione della burocrazia e della politica che non aveva alcun interesse che si parlasse di quella storia. Insomma, i nostri sembrano avere vinto, ma con l’amaro in bocca. Prima di tutto perché nessuno dei colpevoli di quella strage, un gruppo di scafisti e armatori che hanno nome e cognome, pagherà mai per quei morti. In secondo luogo perché l’ostilità dei portopalesi verso Saro e la sua famiglia non cesserà neanche davanti all’evidenza. E infine perché tra le immagini catturate sotto il mare dal minisommergibile c’è quella di una maglia della nazionale italiana col nome di Baggio. Quella maglia che Fortunato aveva ceduto all’amico e che il ragazzo indossava al momento del disastro. Resterà però la coscienza rinfrancata di Saro che ha permesso, col suo gesto coraggioso di denuncia, di restituire dignità ai molti morti e alle loro anime, e ha rappresentato un grandioso esempio di dovere civico. Resterà la passione di Sanna per il suo lavoro di giornalista, che lo porterà a lanciare con le sue righe una sfida ai potenti di Portopalo, che in fondo sono i primi mandanti di quell’omertà. Resterà un gruppo di tamil, indiani, pakistani venuti da lontano per gettare petali di fiori nel punto in cui i loro cari sono morti, e ai quali ora possono dedicare un pensiero. Resterà la memoria. Che non è solo quella che Fortunato ha recuperato, ma anche la nostra che finalmente abbiamo avuto modo di conoscere questa storia sepolta in fondo al Mediterraneo.

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