La missione di Fabio Fazio era quella di rinnovare – a suo modo – il carrozzone del Festival di Sanremo. Secondo i “canoni fazisti”, quest’operazione comportava degli innesti culturali, o forse radical-chic, nella manifestazione più nazionalpopolare che c’è. Dunque, il compito è riuscito? Solo a metà…
Se cercavi gli ascolti della prima serata di Sanremo 2013, clicca qui>>
Diamo subito una parere/sentenza: il Festival si può rinnovare sparigliando le carte, non appaltandolo a standard già conosciuti in altre trasmissioni per creare un “Che Sanremo Che Fa” (ibrido malriuscito di Sanremo+Che tempo che fa).
Partiamo da ciò che ha funzionato: il rinnovamento dell’impatto visivo è riuscito. La grafica che ha accompagnato la serata era imponente come si addice a un evento del genere ma manteneva un certo gusto e una coerenza complessiva. Ottima, come sempre, la regia di Duccio Forzano che l’ha curata con estrema professionalità riuscendo a dare ritmo anche quando alla scrittura televisiva il ritmo mancava.
Rivoluzionaria la scenografia: eccellente l’idea di sospendere l’orchestra sui balconi dello sfondo. Ad un primo impatto il cambiamento è subito percepibile, in un primo momento l’impianto scenico potrebbe apparire troppo imponente e pesante ma si è rivelata una scommessa vinta e innovativa. Unico appunto negativo: la scelta di allungare il palco, inglobando alcune file di sedie lasciate in trasparenza con un vetro, si è rivelata terribile, roba da recita all’oratorio. Ma un errore si può perdonare anche perchè l’ottimo impianto luci rendeva giustizia ad un tentativo di fotografia nuova e moderna che faceva diventare trascurabile tale orrore.
Se a livello televisivo, la rivoluzione ha segnato un gol, a livello di scrittura e narrazione l’esperimento risulta piuttosto fallimentare. Buona la scelta di aprire con Va pensiero di Verdi eseguito dal Coro dell’Arena di Verona (dimentichiamo però la riflessione di Fazio sul significato del termine “popolare”…). Poi arriva Luciana Littizzetto, siamo tutti pronti a lasciare che le nostre labbra si aprano in un sorriso o addirittura in una risata. Dopo pochi minuti siamo, però, già coscienti che anche quella di Sanremo è sempre la solita Lucianina: se gli togliamo i preti, i politici, il “walter” e la “iolanda”, la comica torinese si rivela poco incisiva e poco divertente.
Ma nonostante tutto, la Littizzetto si rivela di gran lunga l’ingrediente migliore di questo Sanremo. L’unica che riesce davvero ad essere dissacrante e a spezzare la messa laica del Festival. L’unica che durante la presentazione delle canzoni, sacra quanto una preghiera, è riuscita a rompere la liturgia facendo ironia sui cantanti o sui direttori di orchestra.
In questi momenti era palpabile l’imbarazzo di Fazio, un conduttore “vorrei ma non posso”, uno che si vuol mostrare innovatore ma che non ci riesce fino in fondo. La differenza tra i due è immensa. E’ una differenza di ritmo, di tempi televisivi: futuristici quelli di Lucianina, soporiferi quelli di Fazio…
A Che tempo che fa questa diversità funziona alla grande ma su tre ore diventa difficile da sostenere e da seguire. I tempi di Fazio sono quelli della noia, non riesce a dare ritmo alla narrazione.
Ma il ritmo alla scrittura televisiva è anche affossato dalla scelta di far presentare due canzoni ad ogni cantante in gara. Queste “primarie” della musica hanno appesantito il fluido scorrimento della serata, hanno allungato troppo un brodo già insipido di suo. In questo già difficile panorama, ad azzoppare ulteriormente i cantanti di ha pensato un mixaggio audio di pessima qualità, quasi da karaoke in piazza.
E poi c’è Maurizio Crozza. Il comico inizia con una parodia di Berlusconi, la platea lo contesta sonoramente. Gli organizzatori si giustificheranno poi dicendo che i contestatori erano solo due o tre e gli altri, che sembravano ribellarsi, non lo facevano contro Crozza ma contro i contestatori stessi. Da casa la percezione è stata diversa, il gruppo dei contestatori sembrava più numeroso, anche molti giornalisti presenti a Sanremo hanno affermato che la contestazione era più nutrita di quello che ci hanno fatto credere. Si prega di inventare balle giustificative migliori.
E se i contestatori erano davvero solo 2 o 3, come mai il prode Crozza si è tanto spaurito? Il comico era visibilmente sorpreso e deluso, d’altra parte Crozza è abituato a pubblici plaudenti e consenzienti, come quelli di Ballarò o di La7, e la contestazione lo ha mandato nel panico. Di solito è abituato a fare i suoi monologhi senza essere interrotto, anche quando Mara Carfagna, a Ballarò, osò controbattere, Crozza andò nel pallone. Ieri il rischio che lasciasse il palco e se ne andasse era dietro l’angolo, solo l’intervento di Fazio ha scongiurato questo esito. Contestazioni iniziali a parte, Crozza è risultato parecchio sottotono, scontato e ripetitivo. Ha riproposto imitazioni e battute già fatte su Rai 3 o su La7. Ci aspettavamo di più, sembrava un ospite arrivato all’ultimo momento. I maligni hanno suggerito che, svanita la possibilità di avere Benigni, sia stato chiesto a Beppe Caschetto (manager di Fazio, Littizzetto e di mezza La7 e Rai3) di chiamare il comico genovese.
La serata, esibizioni dei cantanti a parte, si è conclusa con Toto Cutugno che ha cantato L’Italiano e Nel blu dipinto di blu insieme all’Armata Russa (ex Rossa). La performance, che sulla carta pareva più debole e incomprensibile, si è rivelato l’elemento più incisivo e post-moderno di questa prima serata di un Festival fragile e lento…
No Pings Yet