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Liberi Sognatori, da domenica 14 gennaio 2018 su Canale 5

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Domenica 14 gennaio 2018, in prima serata su Canale 5, parte Liberi Sognatori, un ciclo di quattro film per la tv. Liberi Sognatori è un progetto costituito da quattro film per la televisione, della durata di cento minuti ciascuno, incentrato sul racconto di quattro figure emblematiche della cronaca italiana: Libero Grassi, Mario Francese, Emanuela Loi, Renata Fonte vissuti tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’90. Un periodo denso di cambiamenti e trasformazioni sociali, ma anche di violenze e oscure trame, in cui quattro persone che hanno semplicemente e coraggiosamente compiuto fino in fondo il proprio dovere di cittadini, di uomini dello stato, di giornalisti hanno dato un esempio che rimane indelebile, combattendo per rendere l’Italia un paese migliore e pagando con la vita i loro ideali di verità e giustizia. 


I protagonisti della collana di racconti Liberi Sognatori sono il simbolo di un’Italia che resiste e che non si arrende alla sopraffazione e alla corruzione, quattro persone caratterizzate da grande umanità e senso del dovere, a cui si intende restituire voce e dignità, dopo anni di ingiusto isolamento istituzionale e oblio mediatico.

Per il produttore della serie, Pietro Valsecchi:

Il progetto si inserisce nel lungo curriculum di impegno civile di Taodue, da sempre orientata alla divulgazione di storie esemplari, legate alla lotta contro le mafie. In oltre vent’anni di attività abbiamo raccontato figure eroiche della nostra storia recente, come Giorgio Ambrosoli, Paolo Borsellino, i caduti di Nassiriya, insieme a tanti capitoli scomodi e controversi della cronaca italiana, dalla cattura di Riina e Provenzano al caso della Uno Bianca alle nuove BR ecc. La linea editoriale della serie – da me sviluppata insieme a Umberto Ambrosoli – si basa infatti sull’idea che la fiction televisiva possa e debba insegnare contenuti etici profondi, raccontando la realtà attraverso un linguaggio emotivamente coinvolgente in grado di parlare nel profondo alla coscienza degli spettatori. Con ‘LIBERI SOGNATORI’ vogliamo perciò contribuire a diffondere un insegnamento e degli esempi alti ai più giovani, che spesso ignorano le pagine più buie della nostra Storia e i nomi e le vicende delle donne e degli uomini che sono stati in prima linea contro la violenza e le ingiustizie.


A TESTA ALTA. LIBERO GRASSI – Domenica 14 gennaio 2018

Con Giorgio Tirabassi, Michela Cescon, Diane Fleri – Regia di Graziano Diana

Si chiamava Libero. Libero Grassi. “Più che un nome, è un aggettivo” diceva di sé ironicamente. Ma era più che un nome, era un destino. Decise di fare impresa a Palermo, producendo boxer, vestaglie, pigiami per uomo e donna. Partecipò alla fondazione del Partito Radicale. Ha sempre fatto attività politica, ma prima di tutto c’era la sua fabbrica ben avviata, la “Sigma” che dava lavoro ad un centinaio di operai, soprattutto donne, tutti messi in regola nel pieno rispetto dei diritti sindacali. Al suo fianco una donna fiera e indipendente che gli assomigliava, Pina Maisano, con cui avevano condiviso due figli e molte battaglie civili, oltre all’attività imprenditoriale. Poi nel 1979 arriva quel trasferimento. La fabbrica deve abbandonare la vecchia sede in centro. Libero trova un seminterrato nel quartiere San Lorenzo, ma il quartiere dove si sono trasferiti, San Lorenzo-Resuttana, è sotto il controllo del boss Francesco Madonia che schiaccia il territorio con la paura, esigendo da tutti i commercianti e gli imprenditori il pizzo. Nessuno denuncia perché vige un tacito accordo: pagare tutti per pagare meno. Ecco quindi che la mafia entra nella vita di Libero Grassi: l’anonimo “zu’ Stefano” chiede soldi per le famiglie bisognose. Libero decide di non pagare. Dopo l’ennesima richiesta telefonica, a cui viene opposto un rifiuto definitivo, due uomini fanno irruzione nella sede della “Sigma” e rapinano gli stipendi. I dipendenti trovano però la forza di denunciare e i rapinatori vengono arrestati: sono membri del clan Madonia. Ma non basta a Libero che avvisa i giornalisti e scrive una lettera al “Giornale di Sicilia”; è una pietra scagliata nello stagno del silenzio e dell’omertà. A Libero Grassi arriva l’invito da Michele Santoro, conduttore di Samarcanda, di andare a raccontare la sua esperienza. Libero accetta. Il mezzo televisivo amplifica a dismisura la denuncia e la figura di Libero Grassi, ma quella “ribellione possibile” provoca una serie di reazioni diverse e contrastanti. Libero alla fine però viene lasciato solo da troppi esponenti della società civile siciliana. Giovedì 29 agosto 1991, Libero Grassi esce di casa e viene ucciso da un killer che gli spara cinque colpi. Ai funerali ci saranno le operaie, gli amici più stretti, ma complessivamente non più di trecento persone. Nel 2004, per l’anniversario della morte, un gruppo di studenti ha affisso per tutta la città migliaia di adesivi che ricordano Libero Grassi. Da loro prende vita l’associazione Addiopizzo, che oggi conta migliaia di aderenti, in un network di imprenditori, commercianti, ambulanti che hanno saputo dire NO alla mafia, e LIBERA FUTURO.


MARIO FRANCESE. DELITTO DI MAFIA – Domenica 21 gennaio 2018

Con Marco Bocci, Claudio Gioè, Romina Mondello – Regia di Michele Alhaique

La morte di Mario Francese, cronista di razza del “Giornale di Sicilia”, apre la stagione feroce in cui Cosa Nostra puntò al cuore dello Stato uccidendo i più significativi rappresentanti delle istituzioni in Sicilia. Di tutti, forse è l’omicidio più emblematico perché Francese aveva intuito prima di ogni altro il salto di qualità che la mafia si apprestava a fare. E aveva raccontato l’avidità dei Corleonesi, scesi su Palermo per occuparla militarmente e per saccheggiarne ogni risorsa, ogni spesa pubblica, ogni futuro. Francese lo scrive, in una lunga, lucidissima inchiesta giornalistica a puntate: gli appalti di Riina e Provenzano per la diga Garcia, i traffici criminali, il reticolo di amicizie e di compiacenze politiche, le innominabili protezioni. Lo ammazzano per questo, davanti a casa, mentre la moglie e i suoi quattro figli lo stanno aspettando per cena, in una sera del gennaio 1979. Delitto previsto e preceduto da molti inequivocabili segnali, come i tanti che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia in quegli anni, ma destinato all’impunità. Fino a quando il figlio di Mario Francese, Giuseppe, che era bambino quando il padre cadde sotto i colpi del killer Leoluca Bagarella, viene contattato da uno strano personaggio che gli dice che proprio negli articoli di Mario potrà trovare i nomi dei colpevoli. Giuseppe che aveva vissuto fino a quel momento cercando di mettersi alle spalle il passato, decide di andare a rileggere quegli articoli per cercare le prove necessarie a far riaprire le indagini. Il suo lavoro sarà premiato: riuscirà dopo un enorme lavoro sul passato di suo padre ma anche sul proprio vissuto personale, a ottenere la condanna della cupola di Cosa Nostra per la morte del padre. Poi, stanco e appagato, sceglierà di uscire di scena nel modo più drammatico. La fiction intende raccontare la storia di entrambi: le indagini giornalistiche di Mario Francese, la tenace ricerca della verità di suo figlio Giuseppe. Fino a un epilogo drammatico che ce li consegna come una straordinaria storia civile ma anche come la prima clamorosa sconfitta giudiziaria per i Corleonesi di Salvatore Riina.


EMANUELA LOI. LA SCELTA – Domenica 28 gennaio 2018

Con Greta Scarano, Riccardo Scamarcio, Ivana Lotito, Lorenza Indovina – Regia di
Stefano Mordini

A una ragazza di ventiquattro anni la pistola non si addice. E invece a Emanuela si. Aveva deciso di essere una donna poliziotto, senza per questo rinunciare a essere quello che era prima di tutto: una ragazza come tante. Emanuela Loi era, perché non è più. Dilaniata dall’esplosione che il giorno 19 luglio del 1992 l’ha uccisa in via D’Amelio insieme al giudice Paolo Borsellino e ai quattro colleghi della scorta: Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Emanuela quel giorno è diventata la prima donna poliziotto morta in servizio, uccisa dalla mafia. Nata e cresciuta in Sardegna e appassionata del suo lavoro come della vita, voleva fare l’insegnante, ma la sorte l’aveva portata da un’altra parte. Era andata ad accompagnare la sorella per quel concorso in Polizia, ma alla fine era stata lei ad essere scelta. Arruolatasi all’età di vent’anni, dopo il diploma magistrale, aveva fatto il suo percorso prima alla scuola allievi di Trieste e poi direttamente a Palermo. Nel giro di due anni era stata affidata al commissariato di Palermo Libertà e da lì in poi i primi incarichi come il piantonamento al boss Francesco Madonia. Nonostante tutto a Palermo si era ambientata bene, aveva creato un gruppetto stretto di amicizie isolane, ma quello che piaceva in particolare a Emanuela era muoversi con il camper della polizia che le consentiva di stare in mezzo alla gente di Palermo. Emanuela era però anche affascinata dal lavoro delle scorte e aveva fatto amicizia con il caposcorta di Falcone, Antonio Montinaro. L’attentato di Capaci era stato uno choc per tutti, ma lei comunque aveva fatto la sua scelta, anche in memoria del suo amico Antonio, e aveva deciso di mettersi a disposizione anche per quel servizio. Nel giugno del 1992 era soltanto da un mese che Emanuela era stata assegnata definitivamente al servizio scorte e dopo poco era stata assegnata proprio alla scorta più difficile, quella del giudice Borsellino. Domenica 19 luglio 1992 sembrava una giornata tranquilla, il giudice Borsellino doveva andare a casa della madre, in via D’Amelio. Emanuela lo aveva visto salutare la famiglia e i figli. Avevano fatto il tragitto in macchina fin sotto casa, si erano fermati e lei era scesa prima, controllando che tutto fosse libero. Il capo scorta aveva dato il via libera: il giudice poteva uscire dall’auto blindata e andare verso il portone dell’appartamento della madre. Emanuela lo aveva visto passarle a fianco e poi l’esplosione, una deflagrazione che ha sentito tutta la città. Nessuno avrà pensato in quel momento agli uomini della scorta, nessuno avrà pensato a Emanuela Loi, una giovane ragazza bionda che non doveva essere lì e che sarà ricordata come la prima vittima donna della polizia.


RENATA FONTE. UNA DONNA CONTRO TUTTI – Domenica 4 febbraio 2018

Con Cristiana Capotondi, Peppino Mazzotta, Augusto Zucchi, Marco Leonardi – Regia di
Fabio Mollo

Renata Fonte, assessore e consigliere comunale nel comune di Nardò, è l’unica amministratrice donna che in Italia abbia pagato con la vita il suo impegno civile. Viene uccisa la notte del 31 marzo 1984 a Nardò, un comune del Salento, in un territorio apparentemente lontano dai circuiti della grande criminalità organizzata, ma capace di diventare spietato contro chi si oppone agli appetiti degli speculatori edilizi. Ma la vita di Renata Fonte non è solo quella di un’amministratrice locale incorruttibile, che sceglie, in totale solitudine, di non chiudere gli occhi di fronte a un territorio incontaminato, minacciato dal cemento. La vita di Renata Fonte è anche quella di una donna che, con entusiasmo e fatica, ogni giorno deve cercare di conciliare quello che forse sempre conciliabile non è. Renata è madre, da quando era giovanissima, di due bambine: ama stare con loro e condividere con loro le sue battaglie. Renata si impegna nella sua comunità, perché a Nardò ci è nata e cresciuta, e non può pensare che le donne restino ancora vittime degli aborti clandestini o che la bellezza che da sempre rende quei luoghi magici, venga infranta da costruzioni di cemento, solo per accumulare un po’ di denaro. Negli ultimi mesi della sua vita, Renata combatte contro tutti. Anche contro il marito, Attilio, che la supplica di scegliere: o lui o la politica. Nell’attesa che lei decida, accetta una proposta di lavoro in Belgio. Renata combatte anche contro il partito, che le chiede di cambiare. Perché questa donna che vuole sempre fare di testa sua, diventa ogni giorno più difficile da gestire. Renata non cede perché si rifiuta di pensare che la politica sul territorio debba piegarsi ogni volta a grandi interessi e piccole clientele. Mancano pochi giorni alla presentazione dell’adeguamento del piano regolare, passaggio strategico per difendere l’area di Porto Selvaggio per cui Renata tanto si è battuta. Pochi giorni, ma che Renata non vedrà mai, perché la notte del 31 marzo 1984 viene uccisa. Ma all’inizio la verità non sarà facile da dimostrare: Renata è bella, giovane, il marito da qualche tempo si è trasferito in Belgio. All’inizio si pensa a un delitto passionale. Solo grazie all’impegno di un commissario e alla testimonianza di due donne, si arriverà a individuare gli esecutori e i mandanti di primo livello. Grazie al suo sacrificio, l’area di Porto Selvaggio, ancora oggi tra le più belle del Salento, non è mai stata toccata dal cemento.

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