E’ innegabile che la miniserie Ultimo-L’occhio del falco, quarto capitolo della saga dedicata al Carabiniere antimafia, sia un prodotto di discreta fattura.
La forza del prodotto si basa sull’appeal di Raoul Bova sul pubblico e sulla professionalità del gruppo Taodue di Valsecchi. Gli ascolti hanno premiato la fiction che ha vinto la serata con 6,5 milioni di telespettatori (qui trovi i dati dettagliati>>). Siamo lontani dai risultati dei primi tre capitoli che superarono gli 8 e i 9 milioni di telespettatori ma è anche vero che eravamo in un’altra era televisiva (anni 1998-2004).
Quindi, la miniserie funziona ma ci sono molti “ma”… Il primo riguarda Raoul Bova. Pur essendo paragonabile, per presa sul pubblico, a Gabriel Garko, il primo gode di ottima stampa mentre il secondo è costantemente criticato. Sinceramente non ci pare che le doti da attore di Bova siano molto superiori a quelle di Garko. Forse il fatto di fare cinema e fiction impegnate socialmente regala a Raoul i favori della critica che sono negati a Gabriel…
Il secondo “ma” riguarda la sceneggiatura e la fattura della fiction. Si nota la qualità che contraddistingue i prodotti della Taodue ma sembra una miniserie concepita e realizzata quasi 10 anni fa, come se dal 2004 (anno del terzo capitolo di Ultimo) ad oggi, non sia cambiato niente nel panorama della fiction italiana. L’occhio del falco pare completamente impermeabile alle innovazioni narrative di una Squadra Antimafia (prodotto eccellente sempre di casa Taodue). E’ vero che Squadra Antimafia è un prodotto di fantasia mentre Ultimo si ispira a una storia vera ma ci pare che la narrazione manchi di ritmo narrativo e pecchi di prevedibilità.
La miniserie ci sembra un prodotto da “vecchia” Mediaset o da Rai: un prodotto in due puntate simile a quelli che narrano la storia di un santo o di un eroe che vediamo ogni settimana su Rai 1. Un tipo di prodotto che Mediaset aveva accantonato per scegliere vie più innovative e anche per una semplice ragione economica e industriale: la tv commerciale ha bisogno della lunga o media serialità per affezionare il suo pubblico. Con la miniserie i rischi sono molti, o funziona subito o è un buco nell’acqua. Fortunatamente per Cologno, la fiction ha funzionato e ha costituito un “mini-evento” regalando 6,5 milioni di spettatori a Canale 5.
Ma Ultimo ci suggerisce un’ulteriore riflessione. Per quanto tempo ancora il genere dedicato alla criminalità organizzata e alle varie mafie durerà? Mediaset nell’ultimo anno ha puntato su molte fiction che trattano la stessa tematica: Squadra Antimafia, L’onore e il rispetto (con la mafia del passato) e da venerdì prossimo Il Clan dei Camorristi. Forse, in prospettiva, c’è il rischio di una saturazione del pubblico su questi temi. Ma il buon risultato di ieri sera allontana forse questa stessa prospettiva.
Piccola polemica finale: è bene ricordare che il processo contro l’eroe antimafia Ultimo, accusato di favoreggiamento, fu condotto da Antonio Ingroia, oggi candidato alle elezioni col suo nuovo partito Rivoluzione Civile. Scrive Filippo Facci su Libero:
[la fiction di Canale 5, ndTuttotv.info] riparte dal processo del 2006 che lo vide indagato per favoreggiamento e quando cioè gli imputarono la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, il «capo dei capi» che pure fu proprio lui a catturare nel 1993. Ultimo fu assolto con formula piena assieme al generale Mario Mori, tanto che Raoul Bova sul «Corriere» di ieri l’ha messa così: «Lo sport di questo Paese è infangare i suoi simboli, con Ultimo non ci sono riusciti e questo merita di essere raccontato». Perfetto, ma perché tacere che il processo fu condotto da Antonio Ingroia?
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