Domani, sul tavolo del Consiglio di Amministrazione Rai approderà la difficile questione degli stipendi d’oro.
Non è escluso che in tale occasione la Presidente Anna Maria Tarantola possa proporre una riduzione del suo stipendio. La cifra che veniva percepita dal suo predecessore Paolo Garimberti era pari a 450mila euro all’anno.
Ma se Tarantola sembra sul punto di dare un segnale di “sobrietà” e di risparmio, chi invece sfida il possibile disprezzo dei cittadini è Luigi Gubitosi, direttore generale della tv di stato: per lui il compenso è di 650mila euro annui ed ha pure ottenuto un contratto a tempo indeterminato (quel posto fisso che il premier Monti – che ha nominato Gubitosi – ha giudicato “una noia mortale”).
Da un semplice calcolo si può evincere come per pagare lo stipendio di Gubitosi servirà il canone di oltre 5.600 famiglie italiane.
Non siamo abituati a indignarci sui mega-stipendi e siamo convinti che i compensi si formino sul mercato (domanda/offerta), ma ci indigniamo che tali stipendi siano elargiti con i soldi delle tasse. La priorità è solo una: privatizzare la Rai, privatizzarla subito, va bene anche svenderla!
Detto questo – per essere corretti – dobbiamo evidenziare che una riduzione dei compensi dei dirigenti non incide molto sui conti della Rai (come i compensi dei parlamentari incidono poco sui conti dell’Italia). Il valore di un taglio ai mega-stipendi è soprattutto simbolico e importante in un periodo di crisi.
Pensare che oltre 5.600 “canoni” servano per pagare lo stipendio di un manager che ha il compito di riformare una Rai irriformabile potrebbe risultare comico se non fosse tragico.
Intanto, secondo il Messaggero, per i conti della Rai si attende un fine anno da brivido: si pensa ad un rosso tra i 60 e i 100 milioni di euro e a un indebitamento di circa 300 milioni.